Nato in Brasile da madre di origine tedesca ebrea e portoghese, padre di origine italiana e spagnola, André Liohn, è un cosmopolita per sangue e tipo di vita. Fa il fotoreporter e, dove c’è guerra o emergenza umanitaria, lui è in prima linea, pronto a fotografare e filmare. Vive dividendosi tra la Norvegia, dove Bia, sua moglie (nata in Brasile, origini italiane), si è recentemente trasferita, l’Italia, dove ha due figli adolescenti di 14 e 12 anni e il Brasile, dove ha i genitori e il lavoro da fotogiornalista (pluripremiato).

È appena rientrato dall’Ucraina, dove tra filmati e foto, ha testimoniato gli orrori del conflitto in corso, del quale gli abbiamo chiesto di parlarci…

Il conflitto tra Russia e Ucraina non è ancora la guerra che rischia di diventare, si può allargare immensamente: è una guerra nata già come mondiale e fin dall’inizio la sua gestione non è stata europea, ma americana. Per il momento è ancora ristretta alle regioni dell’Ucraina in cui era in corso fin dal 2014: per un breve periodo ha superato i confini, poi è rientrata. I confini sono invece ampiamente superati, per gli effetti economici, politici, culturali, che sta producendo nel mondo intero. Se da un lato c’è una miriade di informazioni, nel contempo si comprende poco di ciò che succede realmente. L’informazione che stiamo fornendo non è in grado di creare un movimento antiguerra, non necessariamente pacifista, capace di ribellarsi. La diplomazia ha fallito e il mondo non è all’altezza di formulare politiche antiguerra: questo è pericoloso.  In Ucraina c’erano reporter più giovani di me: alla mia età, quasi cinquant’anni, mi chiedo il valore del mio lavoro, ovvero se possiamo fornire alla gente degli ideali per cui vivere e combattere. La mia generazione fa ancora parte di coloro che pensavano di morire per qualcosa, ma sta prendendo piede l’idea di spendersi per qualcosa, solo dopo aver capito se ne valga la pena. Oggi sembra che riportare quello che accade, in un certo senso, tenda a giustificare la guerra: se fotografo un ucraino morto, la gente dice che bisogna uccidere i russi, se fotografo un russo morto, la gente dice che bisogna uccidere gli ucraini. Il fotogiornalismo è fatto di impressioni che non sempre sono vere: bisognerebbe fare un esercizio emozionale e cognitivo, che si acquisisce solo col tempo, l’esperienza, l’età. Un fotografo di 25 anni non ascolta facilmente se gli si dice: “calmati, pensa”. Il giornalismo è un mestiere in cui si riproducono le impressioni di ciò che si vede, osserva, sente, ma le impressioni non sempre sono giuste, come i filosofi stoici insegnano…”  

Come nasce “You Are Not a Soldier”, film documentario sulla tua vita spericolata?  

Maria Carolina Telles, la regista brasiliana, è una cara amica coetanea. Quando suo padre stava per morire, lei gli è stata accanto e trovandoci in ospedale a parlare della paternità, che è la cosa più importante della mia vita, mi ha rivelato che intendeva realizzare un documentario sull’argomento. Premetto che da quando sono nati i miei figli, produco per loro foto e testi affinché possano capire chi è il padre. La regista mi ha proposto un documentario sulla mia relazione con loro, ma trattandosi di cose private, all’inizio non ero d’accordo, poi mi ha convinto. Maria Carolina ha sempre avuto paura di perdere il padre, cosa che è accaduta, che è la stessa paura che provano i miei figli, perché il mio lavoro è rischioso. Io vivo in Italia per un paio di mesi, poi vado fuori 3-4 mesi per lavoro, quindi raggiungo mia moglie, poi i miei genitori e di nuovo riparto. Ho diverse vite: da figlio, da padre, da marito, da fotoreporter. Ogni volta che parto, c’è il problema del distacco e il timore di non rivedersi. Per farlo bene, mi immergo totalmente in ciò che faccio, anima e corpo. Quando sono con i miei figli, mi dedico a loro al cento per cento e la regista è riuscita a catturare perfettamente i nostri stati d’animo. Nel documentario, di un’ora e mezza, si vuol mostrare la vita che ho fatto e che faccio e c’è anche Ariano Irpino, la realtà in cui i miei figli, nati in Norvegia, vivono, crescono e stanno bene. È un omaggio ad Ariano che ringrazio, perché si è presa cura di loro e lo farà ancora per un po’”.  

Il documentario, che ha vinto diversi premi internazionali, è visibile sulla piattaforma americana Hbomax. Sarà proiettato in anteprima europea proprio ad Ariano Irpino, presso il Cinema Comunale, venerdì 17 giugno alle 19 e 30, gratuitamente. André sarà presente e interagirà con il pubblico.

Floriana Mastandrea

Di Floriana Mastandrea

Giornalista, scrittrice, sociologa: per una società più equa, la giustizia giusta e i diritti, soprattutto per i più deboli. Combattente per indole e per necessità.