Per noi cultura è coscienza storica. Ritroviamo in essa la responsabilità dell’individuo che è anche cittadino”. Così scriveva Piero Gobetti, morto “esule a Parigi nella notte tra il 15 e il 16 febbraio all’età di 25 anni a seguito delle violentissime aggressioni subìte in Italia. Il regime volle stroncare con la violenza, il suo intenso ed efficace impegno politico di liberale progressista. Gli accadimenti della storia ci hanno rivelato puntualmente dove portarono le sventure che Gobetti, come sentinella della libertà, fu capace di intravedere e denunciare a voce alta durante la sua breve ma intensa esperienza di vita. Su Energie nuove, rivista da lui fondata a 18 anni, nel 1920, sulla Educazione nazionale, scriveva con lucidità: Da noi giovani che ancora non abbiamo perduto il senso della realtà deve sorgere quest’idea nuova dell’Italia. Qui filosofia e politica devono convergere; la nostra teoria deve essere ardore di pratica, deve portare le idee nella vita sociale, farle realtà più umane. A soli vent’anni, il 12 febbraio del 1922, pubblicava il primo numero della rivista La Rivoluzione liberale, che costituiva un importante riferimento antifascista”. Il brano è tratto dal libro di Domenico Gallo, Ventisei Madonne Nere, un’ampia raccolta di editoriali che, muovendo dalla cronaca, copre tre anni di storia italiana, intrecciata a quella internazionale. L’autore, con il rigore del giurista, supportato da autentica passione civile, dell’uomo che ha scelto da sempre da che parte stare, segnala la vicenda di un potere spavaldo e regressivo, che ha tentato di manomettere il pluralismo e l’architettura dei poteri disegnata dai padri costituenti, in linea con il progetto dell’uomo solo al comando, o quantomeno dei poteri “forti” nei confronti dei cittadini, e “deboli”, nei confronti dei mercati. Racconta di come si è aggredito il nostro bene più prezioso, la Costituzione repubblicana, e di come sia stata difesa e rivotata a furor di popolo. Ciononostante, la Carta dei diritti fondamentali, è ancora in pericolo, così come tutte le Costituzioni europee del dopoguerra, accusate dai grandi potentati economici, finanziari e speculativi internazionali, di essere troppo “socialiste”, troppo sollecite dei diritti dei lavoratori, troppo aperte alla volontà popolare. Ben lo esprime nella prefazione, Raniero La Valle, sottolineando come, se viene meno il lavoro, se si ridimensiona e delocalizza, perdendo così anche la sua potenzialità politica, crolla l’intero sistema della libertà e dei diritti. Come avevano compreso i padri costituenti, il lavoro non è infatti solo un ingrediente del composto sociale, un mezzo per guadagnarsi la vita o produrre, quanto piuttosto il fondamento stesso della Repubblica democratica. Se cade l’obiettivo della piena occupazione, ne giova il capitalismo globalizzato. Quel capitalismo che vede unicamente il profitto e ha eletto il denaro a simbolo di tutti i valori: non più mezzo per soddisfare bisogni e produrre beni, ma fine ultimo da realizzare. Oggi più che mai, una piccola fetta di miliardari detiene un’enorme concentrazione di ricchezza, quanta basterebbe a interi popoli, a fronte di un forte impoverimento globale. Un mondo simile non può continuare, se non a condizione di fomentare ulteriori conflitti, ripristinando la guerra a pezzi, quella ormai in corso, e che non può che essere foriera di violenze e migrazioni verso un altrove di speranza. Una speranza troppo spesso negata e sostituita da torture, muri, polizie, cani, barconi che affondano, guardie costiere che sparano. E cinica indifferenza. L’Autore articola riflessioni, cronache, moniti, necessari giudizi severi, partendo da una salda memoria del passato, ovvero la scelta del popolo dopo la Resistenza e la vittoria sul nazifascismo, della democrazia. Una democrazia che non solo non è desueta, ma che va protetta e nutrita, perché in pericolo. Le leggi elettorali non devono essere una farsa in cui, invece del popolo che elegge i suoi rappresentanti, è il potere che si serve del popolo, facendone il suo sgabello. “Talvolta legge e giustizia, – ha detto durante la presentazione del suo lavoro -, non coincidono, è necessario forzare la legge per raggiungere la giustizia. Sebbene non sempre le giovani leve lo dimostrino, il magistrato deve avere un forte sentimento della giustizia”. Ed è proprio attraverso la giustizia, la pietà, il diritto, le Costituzioni, i Parlamenti liberamente eletti, e la resistenza ai rigurgiti di potenza e ai genocidi, che si può ancora raddrizzare la società, creare una nuova Storia. Serve un’inversione di rotta per costruire il futuro di un mondo nuovo e più giusto. Gobetti pagò con la vita l’opposizione al regime fascista e molti altri con lui. Come spesso accade e ben sottolinea Gallo, la morte di un uomo non uccide le sue idee. Il suo pensiero è sopravvissuto al suo autore e lo ritroviamo incardinato nei valori fondanti della Costituzione, attinti dalla cultura politica delle élite antifasciste. Oggi quei valori sono a rischio: nostro compito dev’essere custodirli e diffonderli, ripristinare diritti e solidarietà, a dispetto dell’oscurantismo crescente, che vorrebbe un popolo ignorante e per questo facilmente gestibile e assoggettabile. Viene un tempo nella Storia, in cui è necessario avere coraggio, decidere da che parte stare. Quel tempo è qui e ora!

Breve profilo dell’Autore Domenico Gallo, originario di Avellino, dove è nato il 1°gennaio 1952, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Napoli nel giugno 1974. Entrato in magistratura nel 1977, ha prestato servizio presso la Pretura di Milano, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, la Pretura di Pescia e quella di Pistoia. Eletto senatore nel 1994, è stato Segretario della Commissione Difesa nella XII legislatura, al cui termine (1996) è rientrato in magistratura civile presso il Tribunale di Roma. Dal 2007 al dicembre 2021 è stato in servizio presso la Corte di Cassazione con funzioni di Consigliere e poi di Presidente di Sezione. È stato attivo nel Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi-Renzi. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore o coautore di molti libri, fra i quali: Millenoventonovantacinque – Cronache da Palazzo Madama e oltre (Edizioni Associate, 1999), Salviamo la Costituzione (Chimienti, 2006), La dittatura della maggioranza (Chimienti, 2008), e Da sudditi a cittadini – il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013), Ventisei Madonne Nere (Delta 3 Edizioni, 2019).

Floriana Mastandrea

Di Floriana Mastandrea

Giornalista, scrittrice, sociologa: per una società più equa, la giustizia giusta e i diritti, soprattutto per i più deboli. Combattente per indole e per necessità.