Il 6 giugno 2014 poco dopo le 8 ci lasciava Nicola Mastandrea, lo zio che mi ha fatto da padre. Ne nutro un ricordo indelebile, che va di pari passo con il rispetto e la forte gratitudine per il sacrificio fatto per crescermi. Era il fratello maggiore di mia madre, Angelina Mastandrea e, per quei 13 anni di differenza si sentiva per lei quasi un padre, in dovere di proteggerla, soprattutto dopo che avevano perso la madre, Floriana, mia nonna, nel 1958, quando la sorella aveva solo 16 anni. La vita di Angelina, priva del riferimento materno, sarebbe cambiata, tanto che negli anni Sessanta incontrò Claudio Sampietro, che poco dopo sarebbe diventato mio padre. La mia inattesa nascita scombinò i piani dei due giovani squattrinati, ma soprattutto di Angelina, che una volta incinta abbandonò il liceo classico che frequentava con profitto e si trasferì, prima da una zia nell’hinterland napoletano, poi a Ischia, dove mi partorì in un istituto per ragazze madri, nel quale mi lasciò per un breve periodo per cercare di “organizzarsi la vita”, visto che il compagno era “latitante” e non mi riconosceva. A 5 mesi (luglio 1962) mia madre mi riconobbe e a novembre mi affidò temporaneamente a suo fratello Nicola, che con sua moglie Pasqualina Graziano, faceva l’agricoltore: se non altro, avrebbero potuto assicurarmi un dignitoso mantenimento. Lei stessa si riforniva di beni di loro produzione, rimaneva spesso anche a pranzo e/o a cena, e talvolta persino a dormire. Qualche mese dopo emigrò in Svizzera, ma Claudio, con cui il rapporto procedeva tra alti e bassi, l’andò a riprendere, finché, tra mille difficoltà, dovute anche alla giovane età di entrambi e alla mancanza di un lavoro stabile, non cominciarono a vivere insieme ad Ariano Irpino. Mio zio e mia zia, intanto, mi trattavano come una figlia. Tre anni dopo di me, (marzo 1965) nacque mio fratello Roberto: mio padre aveva quasi 26 anni, mia madre quasi 23: lui li avrebbe compiuti ad agosto, lei a settembre. Nostra madre riconobbe Roberto quasi un mese dopo la nascita, mentre nostro padre lo riconobbe 3 anni dopo: fu legittimato come figlio il 31 maggio 1980, quando i due, anche se il rapporto continuava ad essere malato, si sposarono. Nel 2002 (già separati di fatto) si separarono legalmente e divorziarono nel 2006. Mio padre l’anno successivo, sposò la sua giovanissima compagna cecoslovacca dalla quale aveva già avuto la prima delle due figlie, subito riconosciuta… Questo un rapido e sintetico quadro dei protagonisti che hanno condizionato, sconvolto, e “indirizzato” la mia vita, le mie scelte e persino le mie vicissitudini da adulta… Tornando a mio zio: quando da bambina vivevo con lui e mia zia, mia madre era sempre presente, talvolta con mio fratello e più raramente, con mio padre. Io frequentavo le elementari, quando zio Nicola pose il problema del mio status: avevo due famiglie, una, quella in cui crescevo, l’altra, quella naturale. Nicola era serio, affidabile e ligio alle formalità, così chiese a mio padre se intendesse riconoscermi: questi gli rispose sprezzante che non gli interessava, così deluso e arrabbiato, decise che avrei dovuto avere lo status di figlia di una “famiglia normale” per darmi, a modo suo, delle “certezze”. Fece l’impossibile, poiché non c’erano le condizioni per l’adozione: mancava in primis lo stato di abbandono, lui era un parente entro il quarto grado, tenuto a crescermi (come stava facendo) senza potermi adottare. Andò persino contro le volontà di sua moglie Pasqualina, che costrinse a firmare il mandato all’avvocato e in seguito, al silenzio sull’adozione. La donna, molto più lungimirante, saggiamente gli aveva contrapposto che la situazione doveva rimanere com’era, in modo che da grande potessi scegliere se rimanere con loro o andare a vivere coi miei genitori naturali. Ma zio era testardo e rigido, non sopportava l’idea di una situazione in stand by, così, senza lontanamente immaginare quanti danni mi avrebbe provocato, per la gratuita speculazione a cui in futuro si sarebbe prestata la mia condizione, volle adottarmi. Fu un grave errore, che in seguito lui stesso riconobbe, pentendosene amaramente, fino a chiedermi scusa: l’aveva fatta in totale buona fede. Quell’adozione, abnorme e mostruosa, l’avrei “scoperta”solo oltre la maggiore età: nessuno ne parlava, né mio zio, né mia zia (le era stato imposto il silenzio), né mia madre, che a sua volta lo avrebbe scoperto a cose fatte, quando, a 15 anni, sarebbe venuta a prendermi per portarmi a vivere insieme a lei, mio padre e mio fratello. A cosa era servita un’adozione che avrebbe “consentito” a mio fratello di fare un testamento falso nel 2009 mentre nostra madre moriva, se non a crearmi problemi e a farmi sentire “figlia di un dio minore”? Zio Nicola era un tipo d’uomo che oggi si definirebbe “tutto d’un pezzo”, mi aveva insegnato valori etico-morali sani come l’onestà, la correttezza, la sincerità, il senso della giustizia, il rispetto, la generosità, l’empatia verso il prossimo. Li ho assorbiti e perseguiti pedissequamente, e oggi più che mai, sono necessari per contrastare: inganno sistematico, apparenza vuota, ipocrisia, furbizia, disonestà, disvalori che in un mondo alla rovescia, sempre più privo di umanità, imperversano. Proprio per tener fede ai valori che mi aveva inculcato, dopo tutte le ingiustizie di cui ero stata vittima, prima, durante e dopo la morte dell’amata sorella, che molto lo avevano afflitto, pentitosi ancora una volta di avermi adottata (come prevedere del resto, la gratuita cattiveria che coloro che “credevo” di famiglia, mi avrebbero riservato?), anche lui desiderava che quell’adozione venisse revocata. Me lo aveva confidato fino all’ultimo momento e lo aveva riportato persino nel suo testamento: desiderava che prevalesse la verità, quella che non mi ha mai nascosto e che era uno dei suoi princìpi di vita. Se fosse ancora vivo, saprebbe che, dopo che il Tribunale per i Minori di Napoli mi aveva dichiarato che il fascicolo della mia adozione era andato disperso a seguito del terremoto dell’80, l’ho invece finalmente rintracciato nel 2016, presso l’Archivio di Stato di Napoli. Ho così scoperto, tra l’altro, che mia madre non era mai stata sentita dal Tribunale dei Minori e che il consenso alla mia adozione sarebbe stato dato attraverso una procura speciale con firma a lei attribuita, che una recente perizia calligrafica, ha ritenuto invece, apocrifa. Ciò mi ha consentito di avviare un procedimento di querela di falso e ora non mi resta che sperare nella “giustizia giusta”.                                                                                                                                               Grazie zio, per l’amore e i sani princìpi, che insieme a zia (di cui, come promesso, mi sto occupando e continuerò a farlo), hai saputo trasmettermi, e ai quali terrò sempre fede, anche nel tuo nome!

Floriana Mastandrea

Di Floriana Mastandrea

Giornalista, scrittrice, sociologa: per una società più equa, la giustizia giusta e i diritti, soprattutto per i più deboli. Combattente per indole e per necessità.