Da Avellino al Friuli a combattere per la libertà: il partigiano Umberto, mio padre

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I sacrifici fra le montagne, la fame, il costante rischio di essere ucciso dai tedeschi o dai fascisti: la Liberazione è avvenuta anche per merito suo!

“Lo chiamavano in codice Compagno Avellino, era mio padre. Nato a Forino, paese poco distante da Avellino, il 2 dicembre 1922, fu chiamato alle armi, come molti altri giovani, all’inizio della Seconda guerra mondiale e inviato al Nord, sul fronte orientale, nella divisione fanteria”. Chi parla è Sandro Romito, già ufficiale dell’esercito, oggi in pensione, uno dei quattro figli (tre maschi e una femmina) che narra la storia di suo padre Umberto, partigiano. “È necessario fare una premessa sul contesto storico in cui operò: l’8 settembre 1943, a seguito della stipula dell’armistizio con gli anglo-americani, che sancì la resa dell’esercito regolare, gli scenari della guerra mutarono da un giorno all’altro. I tedeschi ex alleati, supportati dai fascisti appartenenti alla Repubblica di Salò, cominciarono ad occupare gran parte del territorio nazionale, disarmando e catturando molti soldati italiani: l’Italia era diventata terra di conquista da sottomettere, anche con la forza. In un simile contesto, la mancanza di ordini e direttive da parte dei vertici delle Forze Armate, provocò in molti soldati uno stato di confusione tale, che ognuno prese strade diverse: chi cercò di rientrare a casa, rischiando di essere catturato dai tedeschi, chi si unì alla Repubblica di Salò (i cosiddetti irriducibili), chi fu deportato in Germania, e chi, rifiutando l’arruolamento nelle file del nuovo fascismo, seguì la via dell’opposizione attraverso la lotta armata, unendosi ai movimenti di Resistenza presenti sul territorio. Mio padre senza esitazione, si schierò scegliendo di combattere le forze neofasciste: già il 9 settembre, in uno scontro a fuoco con i tedeschi, fu ferito all’avambraccio sinistro e ricoverato presso l’ospedale militare di Udine. Una volta guarito, si unì alle forze di Resistenza partigiane dislocate al confine tra l’Italia e la Slovenia”. Non è stato facile per Sandro e gli altri familiari scoprire gli accadimenti di quel drammatico periodo: per lungo tempo il padre li ha taciuti, a volerne rimuovere il doloroso ricordo, nel tentativo di dimenticare le atrocità a cui aveva assistito e i sacrifici sopportati per sopravvivere. In tarda età, Umberto finalmente ha cominciato a “sbottonarsi”, seppur in maniera frammentaria, consentendo di ricostruire come in un puzzle, lo scenario della vita da partigiano. Continua Sandro: “Mio padre raccontava che per evitare ritorsioni verso i familiari, nel caso fossero stati catturati dal nemico, i partigiani non portavano addosso documenti personali, né tra di loro si chiamavano mai col vero nome. Compagno Avellino, era il nome che gli avevano attribuito e faceva parte della Brigata Garibaldi, formazione partigiana organizzata dal partito Comunista. Con le lacrime agli occhi, accennando ai canti dei partigiani, Umberto ricordava le montagne e i luoghi presso cui aveva combattuto e si era nascosto per sfuggire alle rappresaglie tedesche: Gorizia, Trieste, Basovizza, il Carso, Vipacco, Postumia, Lubiana, tra gli altri. E si soffriva terribilmente la fame: una volta durante l’ora politica, alla presenza del commissario e del comandante, intravide a valle, in una casa contadina, una donna che nel cortile preparava il pastone, ovvero patate e crusca, per i maiali. Con uno stratagemma si allontanò dalla riunione e le andò a chiedere: Gospa (signora in sloveno), posso prenderlo? La signora, perplessa, acconsentì: mio padre infilò le mani nella tinozza e si riempì tutte le tasche di quel pastone caldo e appetitoso. Scottava, ma era così buono: la fame era davvero tanta! Durante i trasferimenti, per alleviare gli attacchi di fame, lui e i compagni masticavano e mangiavano pezzetti di pelle di vitello arrostito. In un’altra circostanza, preparando un’azione di guerriglia contro i tedeschi, mio padre si ribellò agli ordini del suo superiore, intenzionato a posizionare il reparto a metà montagna. Dopo l’azione bisogna sfuggire alla rappresaglia tedesca: come facciamo se dobbiamo risalire la montagna? Non sarebbe meglio schierarsi sul crinale, in modo che alle nostre spalle la discesa ci consentirà di scappare velocemente? Tutto il reparto condivise la sua proposta: si appostarono sul crinale, colpirono e scapparono senza subire perdite. Al rientro, il comandante fece rapporto e mio padre rischiò di essere fucilato per insubordinazione, ma una volta ascoltate le parti, i superiori gli diedero ragione, e anzi, lo proposero per un avanzamento di grado”. Quando da bambini gli chiedevate di raccontarvi della guerra, come reagiva? “Le atrocità della guerra hanno sempre accompagnato il suo sonno inquieto e i suoi lunghi silenzi, erano per noi molto eloquenti. Ci diceva che bisognava difendersi sia dai fascisti sia dai tedeschi, che non facevano prigionieri: ti fucilavano o ti lasciavano morire sbranato dai cani. Mio padre non è stato un eroe, ma è stato uno dei tanti che ha scelto, ha partecipato. Uno dei tanti che, fedele ai principi di democrazia, uguaglianza sociale e libertà, ha combattuto da partigiano contro ogni forma di dittatura e discriminazione. A lui (scomparso a 88 anni, nel 2010) e a quelli che come lui hanno fatto parte della Resistenza partigiana, contribuendo a rendere libero questo Paese, va il nostro grazie”. A suo avviso la democrazia oggi è in pericolo? “Quello che sta accadendo non è rassicurante, soprattutto se guardiamo agli scenari di guerra che stanno caratterizzando i nostri confini. Per quanto riguarda l’Italia, la nostra Costituzione è una Carta forte, realizzata da persone capaci e ancorate a valori universali e potenti, ma guai a dare i principi fondamentali per scontati: il seme della democrazia va sempre coltivato. Bisogna evitare a ogni costo, che seppur in forme diverse, gli eventi si ripetano. È importante conoscere, raccontare ed educare all’antifascismo fin da piccoli e con tutti gli organismi, a partire dalla famiglia, poi nelle scuole, quindi nei circoli e attraverso le varie associazioni: la storia non va dimenticata e la memoria è fondamentale tenerla viva. Senza memoria non c’è futuro e anche le lotte dei partigiani che, spesso rimettendoci la vita, ci hanno consentito di essere liberi, rischierebbero di essere vanificate. Siete iscritti all’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani)? Lo faremo a breve, in una delle nascenti sezioni qui, in provincia di Avellino. Floriana Mastandrea

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Floriana Mastandrea

Giornalista, scrittrice, sociologa: per una società più equa, la giustizia giusta e i diritti, soprattutto per i più deboli. Combattente per indole e per necessità.
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