“L’avidità umana, che disegna le sue architetture per rendere il mondo un villaggio globale […], deturpando l’ambiente, ha offeso la natura, che lesa, ha scatenato la sua ira funesta […], evidenziando, in modo inequivocabile, che l’uomo è parte assai marginale delle sue funzioni. Le città sono sprofondate nella disperazione di un agghiacciante silenzio […]. Il male occulto ci ha resi dunque inerti e inamovibili, reclusi tra le mura domestiche, a scontare i giorni del lungo tempo sospeso, in una condizione di mortificazione della dignità umana. […] Sarà ardua impresa per ognuno, nel ridisegnare la mappa del proprio cammino terreno, il riacquisire coscienza di ciò che si è, dopo essere stati pressati da una travagliata spoliazione dei tradizionali meccanismi di adesione comunitaria e sottoposti ad un quotidiano e stressante esercizio di ricostruzione dell’io e di verifica della propria conformità. Eppure vi sono quelli che nella dilagante paura dell’essere tutti misteriosamente coinvolti nella fine del genere umano, per esorcizzare il maligno, disattivano, riversi nella lussuria, i processi inibitori. In quell’ebbrezza di far prevalere gli istinti sulla ragione, molti ripudiano la morte, la sentono estranea come un’entità che appartiene ad altri; vivono nel credo dell’eterna giovinezza, si pensano invincibili, padroni degli eventi, sfidano il tempo e così, nel delirio, realizzano la dissolvenza propria e dei propri simili, elevano forche per il capestro dell’umanità. E il grande fratello dal video è sempre là, a ricordarci che in fondo il mondo è solo uno spazio di sistemi precari. Dagli schermi proietta il riflesso di noi nel cataclisma, nella sventura e non ci pare vero di ritrovarci superstiti, benché omologati in una società di uomini liberi senza scelta, arditi senza osare, critici senza pensare. Siamo come ci vogliono, ostaggi dei creatori del niente, dei moltiplicatori di profitti sulle sciagure umane, anche e innanzitutto nelle circostanze estreme della morte. L’epidemia è anche questo: la corruzione dell’anima ancorché del corpo. Sugli effetti della pandemia, tratto da: Sopravvissuti, l’inedito pubblicato postumo, di Nicola Savino, sociologo, scrittore, pensatore, prematuramente scomparso l’11 novembre 2021 a soli 68 anni. Dal brano si evincono temi cari al suo pensiero, che è altresì rivolto con preoccupazione al fallimento del sistema socio – economico – capitalistico, fino alle guerre tra religioni, alla inaudita spettacolarizzazione della morte dell’Isis, all’avanzare di ogni tipo di fondamentalismo, partendo dallo scenario che lo ha “sdoganato”: il feroce attentato al World Trade Center di New York dell’11 settembre 2001. L’attento studioso, ha analizzato anche le dirette conseguenze del lockdown imposto dalla pandemia da Covid-19: la crisi economica e la perdita del lavoro, che a loro volta hanno ampliato malessere esistenziale e insofferenza, con una costante “proletarizzazione” del ceto medio, finendo per far collimare “gli interessi della piccola e fors’anche quelli della media borghesia, fatti salvi ruoli e competenze, con quelli dei ceti popolari. […] I furori di questa moltitudine di anime esacerbate […], attestano che si sono ormai infranti i pilastri a lungo consolidati della tollerabilità sociale. Si sono amplificate le disparità, accresciute a dismisura le sacche di povertà, dei disoccupati, dei sottoccupati, dei sub-alterni, degli esclusi, dei deboli e degli ultimi”. Una platea di “miserabili”, su cui incalza il rischio della fame, che “si sa, conduce all’oblio dei sensi e degli affetti, annulla i sentimenti e le passioni, la fede e la ragione; l’uomo si ritrova […], nell’appiglio istintuale di conservare se stesso”. La narrazione storica, sottolinea, segnala i risvolti nefasti di una massa che, spinta dal bisogno, diviene capace di determinare, “nel sangue, gli accadimenti di svolta, sui quali s’avviluppano i mutamenti delle civiltà. In definitiva, la sensazione è quella di vivere come adagiati su una polveriera, dove prima o poi qualcuno accenderà la miccia”. A ciò si aggiungano le instabilità geo-politiche, alimentate da nazionalismi, integralismi, fondamentalismi, e da eventi catastrofici naturali, che costringono vaste masse di “brutalizzati a sradicarsi dai luoghi di origine per catapultarsi in scenari umani e ambientali estranei, dove non solo non vengono accettati, ma spesso sono odiati e colpevolizzati”. Nel brano, Sugli esodi, il sociologo ci ricorda come, per scongiurare i sentimenti xenofobi, basterebbe “rivitalizzare la memoria storica, far riemergere il dramma dei migranti d’ogni tempo e luogo, comparati ai nostri, per comprendere che si sta facendo lo stesso percorso, ma a parti rovesciate”. In Sopravvissuti viene affrontato anche il tema del possesso, evidenziando che un “ristretto numero di oligarchie fomentano una cultura tesa a istituire una società abitata da individui nichilisti e amorfi […]. Siamo pertanto il prodotto di una civiltà opulenta, che, in nome della tecnica e del progresso, sconvolge e travolge cielo, terra e mare, che scarta più di quanto consuma e consuma più di quanto produce. In quest’enfasi, l’uso spregiudicato delle risorse della natura, le manipolazioni genetiche, rappresentano la norma di una vita segnata dal disprezzo, dalla prevaricazione, dalla sopraffazione”. Da questa spirale si può uscire a condizione che uomini di buona volontà si rimbocchino le maniche per riparare agli errori, memori che “la Natura sa essere crudele con chi la sfida” (sull’argomento si veda anche il suo lavoro, La vendetta della Natura e la grande moria). Se non ora, quando? Si chiede Nicola, che ritiene sia “giunto il tempo di rivedere il sistema capitalistico, di reimpostare la diseguale e disumana distribuzione delle risorse e delle ricchezze individuali e collettive e rifondare, nella sua integrità, la dimensione umana, saldando tra loro le straordinarie energie dell’uomo con le immense potenzialità offerte dall’uso non speculativo del progresso tecnologico. […]. È necessario un nuovo umanesimo: c’è bisogno di effettuare, con coraggio e determinazione, una totale rimozione dell’ormai archeologia industriale del XX secolo […]”, che ha spianato “il campo al consumismo, al globalismo, ad un più redditizio profitto parassitario, che hanno provocato, nel tempo, distruzioni ambientali […] senza migliorare la qualità della vita. È necessario che questo cambio di passo si realizzi in un arco ragionato di tempo. Il futuro dell’Umanità, o sarà strutturato su valori fondanti o non sarà affatto.”! Il “tormentato” intellettuale, partendo da posizioni anarchiche ispirate a Proudhon (1809-1865) anarchico francese, sociologo, economista, socialista e politico; Bakunin (1814 -1876), anarchico, filosofo e rivoluzionario russo, fino ad Anna Kuliscioff (1857 -1925), rivoluzionaria e giornalista russa, considerava la proprietà privata un inutile orpello, quasi un reato. Nella maturità, la sua visione filosofica, lo condurrà ad ispirarsi alla figura di San Francesco (si veda anche il suo libro, Nacque al mondo un sole), il frate della solidarietà e dell’accoglienza, che abbracciò la povertà per privilegiare l’armonia dello spirito. Da convinto antifascista quale era, Nicola discuteva animatamente con gli amici di una vita, sulla disgregazione degli ideali politici della socialdemocrazia, così come lo preoccupava il progressivo sgretolamento del tessuto sociale. Riteneva necessario un confronto sul tessuto urbano, storico, sociale del territorio, per uno sviluppo sostenibile e compatibile di Ariano, la sua amata città, dove non è mai esistito un vero programma di sviluppo, evidenziando come, dopo il terremoto del 1980 (seguito a quello del 1962), che avrebbe dovuto dare impulso a una rinascita, si sia assistito a ulteriori violazioni del paesaggio, scempi urbanistici e una metamorfosi antropologica delle comunità, passando definitivamente dal dramma, al disincanto, parafrasando il titolo di un altro suo lavoro (23 novembre 1980 Il dramma, l’incanto, il disincanto). La seconda parte di Sopravvissuti è una significativa raccolta di 25 poesie (dal 1975 al 2000), che abbracciano i temi del tempo, dell’utopia, dei padri, della natura, dei ricordi, della morte, del coraggio. Proprio la sua Ariano ha voluto tributargli Legami indissolubili, una tre giorni nell’ambito della Book zone (che fu da lui ideata) dell’Ariano Folkfestival, patrocinata dal Comune, ideata e curata da Luigi Lambiase, con L’associazione Il vizio di leggere e la partecipazione di amici, colleghi, familiari e conoscenti, che hanno ricordato la sua figura e presentato suoi libri. All’interno del Museo civico, che ha ospitato gli eventi, è stata allestita una significativa mostra fotografica, a cura di Marco Memoli. Il Premio Nicola Savino è stato conferito a Michele Napolitano per il libro di poesie, Prontuario degli sconfitti. Commemorare un uomo di straordinaria umanità e cultura, come è stato Nicola Savino, è fondamentale affinché se ne continui il lavoro politico, sociale e culturale, precocemente interrotto: necessario farlo, anche in suo nome. Floriana Mastandrea